Il Guggenheim Museum di Bilbao 

 

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  Frank Gehry 1997- 2001   
 
La polemica sulle macchie del titanio 
Sono passati ormai più di tre anni dal 18 ottobre del 1997, giorno in cui il re di Spagna ha ufficialmente inaugurato a Bilbao quello che è stato definito "il più grande monumento di un'intera generazione di architetti" (P.Johnson), ma le polemiche non si sono ancora placate.

Spentesi sul nascere quelle relative alla complessità del progetto, che a detta dei suoi oppositori, faceva prevedere notevoli ritardi e rincari dei costi di costruzione, affievolitasi la contestazione degli artisti locali capeggiati da Jorge Oteiza, che aveva gridato allo scandalo del museo "straniero per opere straniere" e fortemente ridimensionata quella relativa alla possibilità che l'architettura affascinante ed imponente del contenitore, potesse sopraffare completamente il contenuto, mettendo in ombra le opere d'arte ospitate, resta quella relativa alle macchie, definite in una prima analisi, di ossido, che ricoprono parte delle 33.000 lamine in titanio della copertura, del peso complessivo di 60 tonnellate.

Soprattutto da quando è stata annunciata la costruzione del Nuovo Museo Guggenheim a New York, una nuvola di titanio di 45 piani di altezza, sempre su progetto di Frank Gehry, la stampa nordamericana ha incominciato a guardare con la lente d'ingrandimento il museo di Bilbao e le macchie apparse in alcune lastre di titanio hanno stimolato l'interesse del The New York Times.

Nelle dichiarazioni al quotidiano newyorkese, Gehry, precisa che le macchie non sono di ossido (il titanio non si ossida) ma semplice sporcizia e sono solo superficiali (più precisamente sono depositi di silicio) e attribuisce lo sporco del titanio all'apatia della impresa costruttrice che nel '97 si rifiutò di pulire i pannelli prima dell'inaugurazione del museo, come lui aveva caldamente consigliato.

In realtà la  possibilità di pulire le macchie che erano apparse sul titanio fu dibattuta già prima dell'inaugurazione ma l'idea fu rifiutata. Solo per rivestire l'emblematico edificio è stato necessario un anno e mezzo di lavoro, i tempi per la pulizia, quindi, non erano sufficienti,  i costi risultavano altissimi e vi era la possibilità che operando una pulizia parziale le lastre appena pulite contrastassero troppo con quelle che non avevano subito il trattamento.

Il direttore del museo, Juan Ignacio Vidarte in quel momento, infatti, contava solo su un sistema di pulizia, quello della Timet, Titanium Metals Corporation, la società produttrice delle lastre di titanio "che richiedeva un enorme costo, senza offrire una soluzione a medio e lungo termine e sottometteva la direzione del museo alla schiavitú di dover ricorrere sempre a loro per la pulizia, perché si rifiutavano di trasferire la tecnologia di pulizia adottata." 

Il museo ha successivamente preso contatti con la Fundación Inasmet, un centro tecnologico specializzato nel trattamento di metalli, che ha studiato la causa dello sporco e ha sviluppato un prodotto chimico che permette facilmente la pulizia del titanio, utilizzando degli operai "scalatori" appesi su piattaforme o attaccati a corde per fronteggiare gli insoliti volumi dell'edificio progettato da Gehry, i quali applicheranno dei prodotti schiumosi per la pulizia delle lastre dai depositi di silicio.
Curiosamente, sono sporche solo le lastre di titanio che non vengono bagnate dalla pioggia, perché la secchezza permette al silicio presente nell'aria di depositarsi, formando croste di sporco in apparenza simile all'ossido. Le macchie sono più visibili sulla facciata posteriore del museo, quella che dà verso l'estuario del Nervión. 

"Poichè era un problema puramente estetico, abbiamo preferito aspettare a sviluppare in Spagna una tecnologia che ci permettesse di pulire il titanio in maniera funzionale, economica e semplice", sottolinea Vidarte, che nega chiaramente che il materiale si sia ossidato, come invece affermava recentemente The Philadelphia Inquirer, in una notizia che ha causato un tale trambusto da far affermare a Gehry che nel nuovo museo newyorkese a Manhattan non si sarebbe più utilizzato il titanio, come era invece previsto dal progetto originale: "non penso che useremo il titanio", ha replicato in un'intervista telefonica dal suo ufficio di Los Angeles, "non credo che avremo i soldi per usare il titanio, così non dovremo preoccuparcene." e da scatenare l'annuncio di un portavoce del Guggenheim di New York che ha affermato: "prima di spendere 700 milioni di dollari, noi c'assicureremo che il materiale usato resista alle condizioni ambientali di New York." 

 
 
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